A distanza di anni dall’abolizione, l’Ici è ancora oggetto di contenzioso. Infatti, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 7.06.2018, n. 14793 ha ribadito che la sola residenza anagrafica del contribuente non è sufficiente per lo status di abitazione principale.
La stessa Corte era già intervenuta a chiarire che “in tema di ICI, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dall’art. 8 D.Lgs. 504/1992, le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento e suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito” (Cass. ord. n. 12299/2017, n. 13062/2017).
Nel nostro caso, i giudici d’appello hanno ritenuto, in disparte la scelta del medico curante effettuata dai ricorrenti in un altro Comune, che l’elemento presuntivo dei bassi consumi elettrici nel triennio fosse una sufficiente fonte di convincimento, in quanto elemento sintomatico di una presenza non abituale nell’abitazione oggetto d’imposizione che, di conseguenza, non può essere considerata abitazione principale.
Nella sentenza n.12299/2017 la Cassazione afferma che “il concetto di abitazione principale è fattuale e prescinde dall’elemento volontario proprio del domicilio (Cass. n.14389/2010), sicché non è corretto dare rilievo dirimente alla non coincidenza tra dimora abituale e residenza anagrafica“, così come neppure è corretto affermare che il concetto di abitazione principale è attribuibile esclusivamente alla residenza anagrafica corrispondente e, nel caso di specie, che la dimostrazione di stabile residenza poteva solo essere data dalla certificazione anagrafica.
Anzitutto, va chiarito che la detrazione di cui all’art. 8, c. 2 D.Lgs. 504/1992 (“per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente“), non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto, ma semmai reso più evidente, dalla modifica normativa apportata dall’art. 1, c. 173 L. 296/2006 (Finanziaria 2007), a tenore della quale al c. 2, art. 8, dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica“, che si limita a introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale di cui si è prima detto; con effetto dall’annualità d’imposta 2007, si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per l’abitazione principale, prova che deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo familiare del contribuente (Cass. n. 14398/2010).
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Fonte: Sistema Ratio